Impossibile dunque, per Jeff Buckley, uno dei più grandi cantautori della musica anni '90, sottrarsi al suo destino.
Non che per lui, Morrison, Hendrix, Bonham, Cobain, Stanley e tutti gli altri la musica passasse in secondo piano ma l'aurora di leggenda che circonda questi personaggi è dovuta in parte anche alle loro morti.
IL CAPOLAVORO: GRACE(1994)
La complicata relazione con Rebecca Moore(compagna di Jeff) riveste un ruolo importante nelle tematiche e nei contenuti del disco: è attorno a lei che ruotano molte delle canzoni di Grace, tra le quali la title-track, nella quale il cantautore si rivolge direttamente alla donna amata, e Last Goodbye, brano dedicato alla separazione tra il cantautore e l'attrice americana.
All'interno del disco si parla anche della fragilità emotiva, tematica presente in brani come Last Goodbye e So Real, ma anche di passioni infuocate, oscurità esistenziali e morte.
Grace fu definito dalla critica musicale un album audace ed è tuttora considerato un disco fuori dalle mode del periodo in cui fu pubblicato: si tratta infatti di un album imperniato soprattutto sulla voce di Jeff Buckley,a dispetto del grunge e dei grandi sperimentatori e innovatori del rock che dominavano il panorama musicale di quegli anni.
All'interno del disco possono essere individuate molteplici influenze, tutte filtrate attraverso uno stile giudicato molto personale: dai Led Zeppelin a Van Morrison sino al padre del cantautore stesso, Tim Buckley, passando attraverso altri grandi nomi del passato, come quelli di Bob Dylan, Édith Piaf e Leonard Cohen.[La sintesi tra influenze così distanti tra loro ha portato la celebre rivista musicale Rolling Stone a definire l'album un lavoro «a metà strada fra metallo e angeli».
Da un punto di vista musicale, il disco può essere considerato un album pop-rock con molte sfumature Soul e finanche Blues.
La struttura dei brani è complessa ma al contempo immediata, spesso basata sul crescendo della voce che parte sommessa per poi salire di tono, dimensione e spiritualismo, fino a entrare in una dimensione mistica.
Il brano Forget Her era stato inizialmente registrato per il disco, ma lo stesso Buckley volle escluderlo dalla versione finale, opponendosi così al parere della casa discografica, che l'aveva invece scelta come singolo di lancio del lavoro stesso.
Il brano, composto dal cantautore dopo una rottura con la compagna Rebecca Moore, fu poi incluso come undicesima traccia nelle edizioni postume del disco.
La leggenda era lì che aspettava Buckley Jeff per prenderlo in braccio una notte di maggio del 1997 nel fiume Mississippi che lo avvolse nelle sue acque buie, tobide e profonde.
Sarà per questo che uno dei suoi dischi postumi s'intitola "Mistery White A Boy".
Il Mississippi quella sera sembrava calmo.
Saranno state le lusinghe della notte o le luci di una città lontana a sedurre Jeff quella sera del 29 maggio del '97 vicino Memphis (Tennessee).
Così quando si gettò nelle acque tutto sembrava perfetto.
L'amico Keith Foti lo aspettava seduto sulla riva.
Una radio suonava canzoni, una voce cantava le storie Blues di quell'America.
Jeff nuotava nella notte e da lontano l'amico scrutava la figura danzare fra le acque.
Un momento, un lampo, poi anche il Mississippi si ammutolì.
La voce dell'amico continuava a chiamare Jeff, disperatamente, inutilmente.
Dal Mississippi solo silenzio.
«Presto, venite subito al fiume…» dice una voce maschile piuttosto concitata
«Jeff è scomparso…»
Neanche dieci minuti dopo, la stessa voce esce dalla cornetta di un telefono di Boston.
«Joan? Sono Keith Foti, ti chiamo da Memphis»
«Keith, che succede? Tutto bene?». La ragazza è perplessa.
Conosce a malapena questo Foti: sa che scrive canzoni ma che per vivere fa il parrucchiere a New York.
Perché dunque Keith la sta chiamando?
Dopo qualche secondo di silenzio, Joan prende l’iniziativa: «Keith...Dov’è Jeff?».
«Ecco...Jeff è andato a nuotare al fiume»
«A nuotare? Alle dieci di sera?»
«Già, aveva voglia di farsi un bagno»
«Keith, che cazzo stai dicendo? Passami subito Jeff».
Joan, improvvisamente, sente un brivido correrle lungo la schiena.
«Dimmi la verità. È successo qualcosa a Jeff?»
«Joan, non so, l’ho visto entrare nel fiume e poi…»
«E poi?»
Joan ora mostra un piglio perentorio anche se sta cominciando a pensare che a Memphis si possa essere consumata una tragedia.
«Joan, non so come dirtelo... Jeff è sparito, sott’acqua».
Morì così, per un tragico gioco del destino, uno fra i più grandi della musica.
DOV'E' FINITO JEFF?
Jeff non venne più ritrovato o meglio venne estratto dall'acque un corpo il 4 giugno al largo di Beale Street Area.
Poi si sparsero leggende sulla sua morte.
C'era chi diceva che non era quello il suo corpo, chi che non è mai morto, chi che Jeff stia ancora vagando tra le acque del fiume.
La cosa certa è che Jeff Buckley aveva solo trent'anni.
A diciassette anni dalla sua scomparsa non è ancora chiara le dinamica dell'accaduto.
C'è chi sostiene che fu un'onda a travolgerlo, chi dice che una barca gli passò sopra, chi avvalora la tesi del malore.
La sua stella illuminò la scena musicale quel tanto che basta da rendere magico ogni suo brano, perfino quelli inediti, mozziconi di canzoni lasciati qua e là sui nastri di casa e pubblicati solo molto tempo dopo su album postumi fra cui "Sketches (For My Sweetheart The Drunk)".
Non era un divo da palcoscenico, era un uomo fragile o, come è definito in una delle più belle biografie, "Un Hipster con la testa d'angelo".
Uno che non scriveva musica per il business, ma per la gente; che gridava e piangeva per strada.
Erano le strade d'America il suo palcoscenico, il luogo in cui amava danzare o suonare la chitarra. Poveri, diseredati, gente che non aveva avuto un'occasione: solo per loro amava scrivere Jeff.
Quando uscì "Grace", il suo primo album, la stampa specializzata storse il naso pensando che fosse l'ennesimo disco di un figlio d'arte capriccioso deciso a seguire a forza le orme di Tim Buckley, un padre geniale e sfortunato, morto prematuramente.
Ma bastò un ascolto e quel disco fu definito un capolavoro.
Perfino i più spocchiosi critici jazz saltarono sulla sedia gridando al miracolo.
La sua voce era una carezza gentile e raffinata capace di cantare di tutto, dalla lirica al rock, dal funk al jazz.
Jeff era così, chi lo ha visto in concerto ne sa qualcosa.
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