lunedì 26 febbraio 2018

La Storia Di Nick Drake: I Flop Commerciali, La Depressione e La Morte


"In caduta rapida e libera, cerchi di trovare un amico. In caduta rapida e libera, questa potrebbe essere la fine" (da "Harvest Breed")

Nick Drake ha rivoluzionato, in soli quattro anni, la musica inglese degli anni '70, anche se con uno stile molto diverso da quello delle star del Rock dell'epoca (principalmente era un'artista Folk ma era anche un grande appassionato di Blues e Jazz).
Ma fu una rivoluzione di cui pochissimi all'epoca si accorsero.
Inglese ma nato in Birmania nel 1948, trascorse un’infanzia relativamente tranquilla, dimostrando un grande interesse per la musica.
Dopo qualche anno, la famiglia tornò in Inghilterra e si trasferì a Tanwoth in Arden, vicino a Birmingham.

Il padre di Nick: "Sembra che niente gli importasse davvero. Era come se ci fosse qualcosa che lo distraesse continuamente"

Finite le superiori si trasferì a Londra, dividendo un appartamento con la sorella, conoscendo nuovi amici e conducendo uno stile di vita bohemien, dove la buona musica e la marijuana non mancavano mai.
Gli amici lo descrivevano come persona timida e riservata, ma socievole con le persone che conosceva, dotato di un grande senso dell'humour.
Nel 1967 fu ammesso al Fitzwilliam College di Cambridge per studiare letteratura inglese, dove trovò un nuovo gruppo di amici intellettuali un po’ hipster con cui si trovava regolarmente a suonare le canzoni di Bob Dylan e Van Morrison, fumando marijuana.
All'epoca registrò anche un Blues sulla marijuana dal titolo "Been Smoking Too Long" (Ho fumato per troppo tempo) in cui evidentemente trovava aspetti autobiografici:

"Nightmare made of hash dreams/Got the devil in my shoes/Tell me tell me what have I done wrong/Ain’t nothing go right with me/Must be I’ve been smoking too long"
(Incubi fatti di sogni di fumo, ho il diavolo nelle scarpe, dimmi cosa ho fatto di male, niente funziona in me, devo aver fumato troppo)

Nel 1968 l’incontro con il produttore londinese Joe Boyd lo portò a firmare il primo contratto discografico.
L’album d’esordio "Five Leaves Left" uscì nel 1969 e doveva il titolo alla scritta contenuta nelle cartine Rizla (usate tipicamente dai fumatori di cannabinoidi), che avvertiva quando stavano per finire.
In un periodo dove gli artisti inglesi (come i Rolling Stones ad esempio) tendevano a ispirarsi alla musica americana, Drake proponeva un suono più europeo.
I testi, che parlavano d’amore, desiderio e identità, sembravano più ispirati dalla lettura dei poeti romantici, che da storie di strada americana.
Il disco contiene la canzone "Fruit Tree" che è quasi una profezia di una gloria che verrà raggiunta solo dopo la morte:

"Safe in your place deep in the earth, That’s when they’ll know what you were really worth"
(Al sicuro nel tuo posto nelle profondità della terra, solo allora riconosceranno il tuo vero valore)

Il disco ha anche spruzzate country come "Time Has Told Me", imprevedibili mantra (Cello Song, Three Hours), Folk jazzato ("Saturday Sun"), raggiungendo picchi stratosferici con la nebbiosa e delicata "River Man", la già citata dolente "Fruit Tree" e una soave "The Thoughts Of Mary Jane".
Le vendite del primo disco, ma anche dei successivi, non furono però buone, anche a causa della grande difficoltà dell’artista di esibirsi dal vivo e di una certa diffidenza per le interviste.
Non riuscì a portare a termine il minitour che il manager gli aveva organizzato, sia per la timidezza di esporsi di fronte a sconosciuti, sia perché non riusciva a tollerare di trovarsi a suonare di fronte a persone che chiacchieravano, bevevano e non avevano il giusto rispetto per la sua musica.
Deluso dall’attività live, l’anno successivo prese in affitto una stanza ad Hampstead e iniziò a lavorare al secondo disco "Bryter Layter", pronuncia cockney della frase delle previsioni del tempo Brighter Later (sereno più tardi), titolo che pareva contenere un messaggio di speranza e che riscosse buone critiche, ma vendette pochissimo (15mila copie).


LA DEPRESSIONE
In concomitanza al vivere da solo e al secondo fiasco discografico lo stato psicologico di Nick iniziò gradualmente a peggiorare, con vissuti di fallimento.
Era assillato anche da preoccupazioni economiche visto che riceveva dalla Island Records solo 20 sterline a settimana, una cifra davvero misera per vivere a Londra.
L’aver interrotto gli studi per dedicarsi alla musica e l’avere ottenuto risultati inferiori alle aspettative potevano essere alla base della profonda tristezza dell’artista.
L’amico Robert Kirby raccontò in un’intervista al Guardian:

"Il fatto che Nick avesse interrotto gli studi prima della laurea lo portava a temere di aver deluso il padre, abbasando molto la sua autostima"

Nick iniziò a ritirarsi sempre di più in se stesso, divenendo una persona molto silenziosa, che riusciva a parlare prevalentemente attraverso le canzoni e anche i rapporti con il produttore Joe Boyd iniziarono ben presto a deteriorarsi a causa del flop delle vendite dei dischi.
Nel 1971 i genitori accompagnarono il figlio da uno psichiatra che fece diagnosi di depressione e prescrisse una cura farmacologica a base di amitriptilina.
L’artista non era assolutamente propenso a curarsi con gli antidepressivi per una questione di vergogna nei confronti di amici e parenti, per il timore degli effetti collaterali e delle possibili interazioni con la marijuana che assumeva regolarmente.
Non si può escludere che anche l’abuso massiccio e protratto di cannabinoidi abbia giocato un ruolo nell’insorgenza della depressione dell’artista, considerato che il consumo cronico di cannabis, oltre a causare la cosiddetta “sindrome amotivazionale” (stanchezza, introversione, apatia, difficoltà a mantenere l’attenzione, mancanza di ambizione e di progettualità) può favorire l’insorgenza di disturbi psichiatrici come depressione, disturbo bipolare e psicosi.
Certamente l’uso cronico di cannabis può avere amplificato questi aspetti del suo carattere con effetti gravi sull’umore.
Tornò a vivere a casa dei genitori nel Warwickshire, dopo la difficile e solitaria permanenza a Londra, ma la protezione della famiglia non lo aiutò più di tanto.
Pareva vivere un profondo senso di solitudine anche in compagnia degli amici e delle persone care.
Sempre l’amico Robert Kirby descrive una delle sue visite:

"Arrivava e non diceva niente, si sedeva, ascoltava la musica, fumava, beveva, dormiva lì la notte e dopo due o tre giorni se ne andava. Poi tornava dopo tre mesi"

Spesso capitava che i genitori dovessero andarlo a recuperare a pochi chilometri da casa perché non riusciva a fare benzina o si era perso.
Con il passare del tempo anche l’aspetto fisico e l’igiene erano sempre più trascurate, a conferma di un grave stato depressivo.
Nel 1972 pubblicò "Pink Moon", l’ultimo disco, realizzato con chitarra e voce in un paio di serate e che voleva essere una rappresentazione di sè.
La canzone che dà il titolo al disco ha un testo criptico e visionario, che nuovamente pare far riferimento alla morte e all'aldilà.
Una storia che circola sul disco narra che Nick portò una copia dell'album appena registrato agli uffici della Island, lasciandola alla reception senza presentarsi neppure.
In realtà David Sandison, che lavorava alla Island in quel periodo, ha raccontato in una intervista che risale alla metà degli anni 90 che le cose andarono diversamente:

"Lo vidi nella reception quando tornai dalla pausa pranzo. Stavo parlando con qualcuno e notai una persona seduta. Lo riconobbi subito, era Nick. Sotto il braccio aveva un disco sotto il braccio. Gli chiesi «Vuoi una tazza di tè?» E lui rispose «Sì». «Vuoi salire?», gli chiesi. E lui rispose, «Sì». Andammo nel mio ufficio, che si trovava in fondo al pianerottolo. Era un pianerottolo che portava a un grande ufficio con un grande tavolo rotondo su cui lavoravano Chris e tutti gli altri e dove c'era un grosso impianto audio. Restò lì nel mio ufficio per circa mezz'ora. Passò mezz'ora e disse: «È meglio che io vada». Gli risposi «Ok, è stato un piacere vederti» e se ne andò"
Qualche anno dopo, John Wood raccontando le notti di registrazione agli studi della Sound Techniques, a Londra, disse:

"Era determinato a farne un disco spoglio, nudo. Voleva che assomigliasse a lui il più possibile. E credo che, in qualche modo, Pink Moon è decisamente più simile a Nick rispetto agli altri due album"

Dopo la consegna dei nastri alla segretaria della Island, Nick scompare nel nulla.
Non si fa vivo, nessuno sa dove sia, dove abiti.
Poco dopo Pink Moon, che rappresentò il terzo flop commerciale, l’artista ebbe un momento di grave crisi nervosa che lo portò al ricovero in un ospedale psichiatrico per 1 mese.
Il postricovero fu caratterizzato da un grande stato di apatia e di disinteresse per tutto, compresa la musica.
Nel 1973 Nick ricontattò il proprio produttore, che nel frattempo si era trasferito in America, perché si sentiva pronto a registrare nuovo materiale.
In realtà non stava affatto bene, ma l’intenzione di registrare ancora sembrava un ultimo disperato tentativo per ottenere il riconoscimento che non era mai arrivato.
Secondo la testimonianza dell’ingegnere del suono John Wood, le performance in studio furono più scadenti rispetto ai dischi precedenti, in quanto l’artista non riusciva a registrare.

Drake: "Non riesco a pensare alle parole. Non provo più niente. Non voglio né piangere, né ridere. Mi sento morto dentro disse in quella circostanza"

Riuscì a registrare solo quattro brani, tra cui "Black Eyed Dog" (cane con gli occhi neri), in cui il protagonista della canzone potrebbe rappresentare metaforicamente la depressione o forse la morte:

"A black eyed dog he called at my door/A black eyed dog he called for more/A black eyed dog he knew my name"
(un cane con gli occhi neri ha bussato alla mia porta/ un cane con gli occhi neri mi ha chiesto di più/ un cane con gli occhi neri conosci il mio nome)

Nel mentre la depressione di Nick aumentava sempre più, caratterizzato da un’indifferenza quasi totale nei confronti del mondo circostante e da momenti di blocco psicomotorio (come quando fu trovato dalla polizia, fermo da un’ora di fronte alle strisce pedonali).
Verso l’autunno dello stesso anno l’artista rimase sconvolto dalla notizia del suicidio del fratello di una sua cara amica, affetto da una depressione cronica.


IL SUICIDIO
Nick fa perdere le tracce di sè, passano i giorni e giunge qualche notizia: il cantautore ha mollato, è tornato per sempre ad abitare dai genitori, nella campagna di Tanworth.
Riceve raramente amici, passa le giornate a leggere, a fissare il soffitto e ad ascoltare vecchi vinili di Bach.
L'amata chitarra giace in un angolo, trascurata.
In questo stato d'animo di rassegnazione e isolamento tutte le voci e le critiche extra-musicali sembrano lontanissime.
Un lungo anno trascorre in questa maniera, tra ricoveri per collassi nervosi e viaggi in macchina solitari.
La notte del 24 novembre 1974 andò a dormire presto, dopo aver trascorso il pomeriggio insieme ad alcuni amici.
La madre quella notte lo sentì armeggiare in cucina, dove spesso si recava di notte a mangiare una tazza di cereali e prendere qualche sonnifero, per poi tornare a letto.
Fu la stessa madre che lo trovò morto la mattina successiva.
Non c’erano note suicidiarie anche se Nick lasciò una lettera per Sophie Ryde, una ragazza con cui aveva una relazione piuttosto platonica negli ultimi mesi.
Venne trovata anche una copia in francese de "Il mito di Sisifo" di Camus, riflessione esistenziale secondo cui un senso alla vita risiede nel tentare...più che nel riuscire.
In un'altra chiave di lettura si riconosce l’assurdità dell’esistenza e si celebra la figura mitologica greca come un uomo che nella condanna accetta e sopporta il suo infausto destino, evitando di togliersi la vita.
La chiusura delle indagini fu “Suicidio previa ingestione incongrua di amitriptilina” (trenta pastiglie, rispetto alla dose prescritta di tre), un antidepressivo triciclico con profilo sedativo, che si assume tipicamente la sera perché aiuta il sonno e che a dosaggi elevati può causare la morte per aritmia e arresto cardiaco, oltre che causare convulsioni.

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